A sentirla nominare, mette un po’ d’ansia: “coratella” suona come qualcosa da evitare.
E invece no. È una di quelle parole ruvide fuori, ma tenere e saporite dentro. Un po’ com’è Roma ed i tanti romani.
Perché dietro a questo nome un po’ cupo si nasconde uno dei piatti più veraci della cucina romana. Un piatto antico, da sveglia presto e padella grande, da tavola condivisa e bicchiere di vino ad accompagnare. Un piatto che sa di casa, di tradizione, di storie da raccontare. Come quella che oggi sto per proporti!
Da dove viene il nome (e il piatto)
“Coratella” viene da corata, che in italiano indica le interiora degli animali più piccoli – agnello, coniglio, pollame.
Parliamo di cuore, fegato, polmoni… e nelle versioni più generose anche reni, milza, trachea, animelle.
Oggi suona strano, ma fino a non troppo tempo fa non si buttava via niente. Le famiglie romane sapevano come trasformare anche il cosiddetto “quinto quarto” – ovvero quello che rimaneva dopo che i tagli nobili se li portavano via i ricchi – in piatti da leccarsi i baffi e che avrebbero poi fatto la fortuna della cucina romana.
E la coratella è proprio uno di questi.
La regina della colazione romana (sì, colazione)
La coratella con i carciofi è uno dei piatti simbolo della colazione pasquale romana.
Sì, hai letto bene: colazione. Ma niente caffellatte, eh. Qui si parla di tavole imbandite alle 9 di mattina con coratella calda, carciofi, uova sode, pizza sbattuta e salame corallina.
È una tradizione antica, un modo per iniziare la Pasqua con gusto, sostanza e un morso di romanità autentica.
Com’è fatta (e perché te ne innamori)
La versione più amata è quella con l’agnello: si fa rosolare la coratella tagliata a pezzetti piccoli con cipolla, vino bianco e carciofi romaneschi spaccati in quattro.
Il segreto è la cottura attenta: ogni parte ha i suoi tempi. Prima i polmoni, poi fegato e cuore. Ultimi i carciofi, che devono restare teneri ma non distrutti.
Il risultato? Un piatto saporito, tenero, croccante nei punti giusti, con un sugo che chiede solo un po’ di pane per la scarpetta ed un bel bicchiere di vino.
Un profumo che riempie la casa, e pure le scale; occhio ai vicini che bussano!
Curiosità (da raccontare tra un boccone e l’altro)
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A Roma si faceva con quello che avanzava al mattatoio di Testaccio. Le mogli dei lavoratori cucinavano le interiora che i mariti portavano a casa come scarto.
E da lì, da un’idea di recupero, nasce un piatto da applausi. -
Non è solo romana. In Umbria, ad esempio, la coratella si fa in umido con pomodoro, salvia e peperoncino. Ma – diciamolo – quella con i carciofi… è un’altra storia.
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Chi la prova, poi la cerca. È uno di quei piatti che magari all’inizio guardi con sospetto, ma poi – cucchiaiata dopo cucchiaiata – non ti fermi più.
Da Velavevodetto, come se stesse in casa
Da noi la trovi fatta come tradizione comanda.
Con le mani giuste, il fuoco basso e quei carciofi romaneschi belli chiusi e profumati, che si sciolgono nel piatto ma restano croccanti al morso.
È un piatto che non sta sempre in carta, perché va rispettato: si fa solo quando gli ingredienti sono freschi, e soprattutto quando la voglia è tanta. Ma quando c’è… è un atto d’amore. Ti consigliamo di chiamare il ristorante prima di venire, così ti confermiamo se la trovi pronta in cucina. Perché certe specialità vanno aspettate… ma poi, che goduria.